Ai tempi del coronavirus molti sono gli interrogativi che gli operatori del settore si pongono guardando al futuro dell’enogastronomia. In questo momento c’è bisogno più che mai di provare a sentire voci influenti e di spessore che provino ad analizzare con raziocinio la situazione sotto molteplici aspetti. Spesso però anche loro sono presi dall’entusiasmo o dalla negatività più acuta.
Vorrei che tutta questa storia fosse come una bella nevicata, tutto si ferma per un po’ ma sai per certo che durerà poco ed attendi con ansia che torni a splendere il sole per assaporare nuovamente il suo tepore. Più che un messaggio, racchiuderei tutti i miei pensieri un’unica parola: ottimismo. D’ora in avanti, a mio avviso, è obbligatorio utilizzare questo splendido vocabolo, essere positivi oggi porta male. E’ l’unico modo per uscire da questa situazione ed affrontare i tempi che verranno. Ottimismo dunque.
Immagino un futuro sempre in chiave ottimistica. Non cambierà il modo di fare ristorazione ma credo che cambierà il modo di affrontare la vita e di approcciarsi allo stare insieme a tavola. Certo, abbiamo bisogno di concretezze ed al momento trovo superfluo fare pronostici, tutto è prematuro. Credo che ci sia molto da lavorare e da ricostruire ma nulla potrà mai cambiare o cancellare quello che siamo, le nostre storie, le nostre idee e le nostre tradizioni millenarie. Immagino una ristorazione dove nulla sarà stravolto e, seppur nei primi tempi vi saranno delle regole da rispettare, l’entusiasmo e la voglia di rimetterci in gioco saranno sicuramente più forti e susciteranno in noi la voglia di riportare in auge le meraviglie che ci contraddistinguono nel mondo. In fondo noi italiani abbiamo la creatività nel DNA ed è questo, paradossalmente, il nostro futuro. Dobbiamo pensare a rimettere in moto il nostro Paese partendo da una consapevolezza: siamo seduti sulla nostra fortuna. L’Italia o Trieste non sono finite, il mondo non è finito e la vita va avanti anche se per il prossimo anno e mezzo dovremo indossare una mascherina. Piazza Unità d’Italia, il Faro della Vittoria, il Castello di San Giusto e tutte le nostre bellezze non si sono mai mosse, non sono mica sparite? Bisogna solo raccontarle nuovamente e con più enfasi. Voglio pensare con ottimismo, saremo talmente bravi nel ricostruire che anche i ristoratori poco speranzosi si ricrederanno e si risolleveranno.
Il mio pensiero va a tutti quei giovani che si sono messi in gioco ed hanno aperto un’attività, rappresentano il nostro futuro e vanno tutelati più di ogni altra cosa. A loro tocca alzare le serrande nel più breve tempo possibile ed è giusto che la problematica venga affrontata insieme alle Istituzioni, far nascere le giuste sinergie economiche per aiutare un comparto che si trova ad affrontare una delle parentesi più buie della storia della nostra Italia. Governare oggi non è certo facile ma questo è il momento in cui lo Stato deve rispondere alla chiamata di tutti noi. Il piccolo ristorantino è come la grande banca o la grande industria, siamo tutti uguali. Bisogna lavorare al meglio e fare squadra per vincere la partita.